Fantasia forma

Il titolo non può che rimandare a Munari

Bruno Munari è stato un maestro indiscusso d’arte, grafica e del design italiano del 900 e ha dato un fortissimo contributo in diversi campi dell’espressione visiva: pittura, scultura, cinematografia, grafica e disegno industriale. 

Il suo “parterre” di conoscenze è ampio; nell’arco della sua carriera frequenta Castagnedi, Andrè Berton, Ettore Sottas, Nino Salvatore, Marinetti guida del movimento futurista (per il quale espose 1930 le prime “macchine inutili”)  e molte altre personalità che hanno caratterizzato il patrimonio artistico culturale di quel periodo, tutt’ora fonte di ispirazione e guida. Fu uno dei primi a ideare le istallazioni artistiche, video-istallazioni, proiezioni a luci polarizzata, opere d’arte cinetica, ma anche oggetti immaginari, giocattoli, e la fotografia che usava come mezzo di sperimenti luminosi.

Un maestro umile e curioso che fa della fantasia la sua bandiera e per la quale scriverà un libro. In questo libro – che a mio avviso apre la mente con tanti altri suoi trattati pubblicati – analizza: creatività, fantasia, immaginazione e invenzione.

“Fantasia: è tutto ciò che prima non c’era anche se irrealizzabile. Creatività: tutto ciò che prima non c’era, ma che è realizzabile”

Da questo scritto si evince che per essere creativi è fondamentale la  conoscenza, poiché noi creiamo rielaborando cose già presenti nella nostra mente, riproponendole in una forma alternativa.

Una persona creativa è una fonte inesauribile che potrà donare sempre un suo contributo culturale alla comunità.

Munari nella sua specchiata carriera andrà poi a generare opere dove “ogni elemento compositivo, ogni forma e ogni parte della superficie può essere considerata sia primo piano, sia fondo.

“L’effetto che ne risulta – OP optical art – fa si che ogni forma che compone l’opera sembra si sposti – creando una dinamica cromatica, una instabilità ottica secondo come lo spettatore prende in considerazione ogni forma”

Un’esplosione creativa racchiusa in questo elegante e burlone uomo che si esprime anche attraverso la progettazione e realizzazione di alcune copertine di: “Domus” rivista all’epoca diretta da Giò Ponti, con immagini che sono l’espressione dell’Arte Concreta, ovvero: quella che fa vedere la natura interiore dell’uomo e della donna, il pensiero umano, la sensibilità, l’estetica, il senso dell’equilibrio e tutto ciò che fa parte della natura interiore, altrettanto natura di quella esteriore ci dice Munari.

Il genio di Munari diversi oggetti d’arredamento la maggior parte per Bruno Danese e Jaqueline Vodoz. In questo ambito realizzò opere che tutt’ora abbiamo il desiderio di avere per caratterizzare almeno un angolo della nostra casa. La lampada da tavolo “Dattilo”, il posacenere “Cubo”e “l’abitacolo”, letto modulabile smontabile prodotto da Rexite. Quella che sicuramente tutti ricordano però è la Lampada Falkland.  Una lampada a sospensione ma anche da terra, disegnata nel 1964. Falkland nasce non dall’imitazione della natura ma dall’interesse a forme di struttura analogica. Per questo troviamo espressi in essa tre elementi: l’elasticità data dalla maglia tubolare (prodotta da un calzificio) che grazie alla tensione data dall’inserimento di alcuni anelli metallici di diverso diametro e il Peso prende una forma spontanea. Un’opera d’arte che non è quindi fine a se stessa ma va dritta alla funzionalità ispirandosi alla natura di ciò che ispira il suo disegnatore.

A questo proposito è necessario infatti parlare delle forme biomorfiche e organiche che si rivelano, non ricalcando una radice di un albero o una scarica elettrica, ma provandole. 

C’è un modo di “copiare” la natura e c’è un modo di capire la natura. Copiare la natura può essere un gesto scaturito dall’abilità manuale e può anche non aiutare a capire per il solo fatto che ci mostra le cose come normalmente si vedono. “Studiare le strutture naturali, osservare l’evoluzione delle forme, può invece dare a tutti la possibilità di capire sempre più il mondo in cui viviamo.” (Arte come mestiere, 178)

Con lo studio, si passa all’esplorazione delle strutture (generate dalla ripetizione di forme uguali o simili), perché la struttura ha la caratteristica di modulare uno spazio dandogli una unità formale (l’alveare) facilitano il designer che risolvendo il problema di base – il modulo – risolve di conseguenza l’intero sistema.

Forme antropomorfiche che daranno vita ad oggetti ergonomici di uso quotidiano con imminenza nei confronti di un principio ascetico di semplicità, razionalità costruttiva “naturale”.

Un concetto che vediamo riducendo al minimo gli sprechi. Concetti che in questo periodo più che mai ci stanno a cuore e idee che possono essere fonte di ispirazione per indirizzare il nostro desiderio creativo verso una forma naturale: la natura infatti crea le sue forme secondo la materia, l’uso, la funzione, l’ambiente. 

Pare che una cosa esatta sia anche bella, per cui lo studio e l’osservazione delle forme spontanee naturali risulta molto utile al designer, il quale si abitua a usare i materiali. Dando loro nuova natura.

 Naturalmente il designer non opera nella natura, ma nella produzione industriale e quindi sarà un altro tipo di spontaneità che nascerà dai suoi progetti, una forma di naturalezza industriale, dettata dalla semplicità e dall’economia costruttiva.

 Ma come si possono trasferire le forme della natura nel campo del design industriale? Diciamo che nell’ambito del design contemporaneo, questo è un campo di ricerca ormai stabilizzato e diffuso. Viene di solito definito come biomimetico o mimetico biologico. Munari ne parla in termini di “bionica” in Da cosa nasce cosa (1981):

In questa prospettiva di esplorazione del naturale, sembra che Munari si chieda perché mai dovremmo adoperarci per produrre delle forme artistiche, o pseudo-tali, quando possiamo trovarle facilmente attorno a noi? Possiamo lasciare perdere Brancusi, o Arp, o Burri, e imparare a guardare direttamente il naturale, che ci dà forme analoghe, più strutturalmente e formalmente appropriate e interessanti, e totalmente gratis? È possibile un’arte senza artisti? In fondo, come scrive Munari in Verbale scritto

“L’uovo ha una forma perfetta benché sia fatto col culo” 

Questa domanda è una provocazione. Credo altresì che ci sia un legame profondo tra lo studio della natura e lo sviluppo del prodotto in una creazione che per quanto mnestica è frutto di un atto artistico che in un movimento genera un evento, un’idea unica e irripetibile.

 “Non ci deve essere un’arte staccata dalla vita: cose belle da guardare e cose brutte da usare.” B.Munari

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